25 maggio 2009

La cosa più bella sono i Vibram e la norvegese...



Eh no, futuri delusi amici miei, con il titolo vi ho ingannato, proprio come fanno quasi quotidianamente le grandi testate giornalistiche.
Niente storie su strani "utensili del desiderio" o disinibite signorine dei fiordi. Niente articoli da leggere lontano da sguardi indiscreti.
I Vibram e la norvegese infatti sono capi di vestiario, rispettivamente di stivali e cappello antifreddo, in dotazione degli Alpini, quelli che già si contraddistinguevano nell'immaginario collettivo per barba-piuma-tasso alcolico.

In un torrido sabato sera reso ancora più afoso da banchetti di specialità estere cotte tutte in altoforni a cielo aperto e servite da sardi-pugliesi-calabresi-siculi, due omonimi seduti sul ciglio di un miniprato sopravvissuto all'urbanizzazione, si raccontano le stesse storie, avvenute con un lasso temporale di circa quindici anni l'una dall'altra.
Stesse consuetudini, stessi equipaggiamenti, stesse tradizioni, forse anche stesso cibo, inscatolato in un altro secolo, caratterizzano il loro narrare.
I due interlocutori si affacciano sullo stesso mare, è evidente.
Uno non ha mai dimenticato, l'altro inizia ora ad avere delle memorie da accumulare.
Io provo ad immaginare, ma per quanto mi sforzi, infastidita all'idea di essere tagliata fuori, non mi riesce.
Un film in esclusiva viene proiettato per due sole paia d'occhi, io posso solo fare la spettatrice degli spettatori.
E' un mondo distante come la vita in fondo al mare per me, o su Marte.
Non lo condivido, non lo approvo, e nemmeno mi piace, questo loro mondo fatto di divise tutte uguali e di gente che impara ad usare oggetti che non costruiscono nulla, ma distruggono. Mio malgrado però, nell'eterno gioco di Pollyanna, sono costretta ad ammettere che in tutto c'è qualcosa di buono, persino là.
Penso alla parola "cameratismo". Mi affascina da sempre. Era lei che negli anni dell'adolescenza mi spingeva ad avere solo amici maschi. Quella specie di sodalizio tacito, per cui gli uomini sono capaci di frequentarsi per anni senza parlare mai di sè, senza scambiarsi mai una confidenza, ma poi possono passare una notte intera al tavolino di un bar, con la birra che si scalda nel boccale, a consolare un amico appena questi alzi la mano in richiesta d'aiuto.
Oppure si commuovono al ricordo di un paio di stivali così duri da doverli spaccare con la sedia prima di poterli indossare.

Sono fatti di sovrumani silenzi, gli uomini, e alcuni di profondissima quiete.

Sarà che nella vita di una donna è più facile che si trovi una cameretta, piuttosto che una camerata, ma a noi, questo sentimento risulta essere quasi sempre precluso.

15 maggio 2009

Pabbiru



Da bambina i fogli erano sempre bianchi. Con le righe strette e larghe in terza elementare, e larghe uguali dalla quinta in poi.
Pagine bianche da riempire di compiti, parole che non venivano mai, temi sempre uguali: "dalla mia finestra vedo", ed io che ci passavo le ore che sembravano anni, davanti a quella finestra con i doppi vetri, e ci vedevo sempre e solo la stessa via, quattro alberi sempreverdi e una dannata edicola. Pensavo di essere sfortunata perchè se avessi vissuto che so, a New York, avrei avuto un sacco di cose da descrivere, ma ero nata a Porto Torres e il mio panorama lì non cambiava mai. Tranne a giugno, quando c'era la Festha Manna. Allora montavano le giostre, e la ruota panoramica girava giorno e notte, instancabile, e proprio davanti a tutte c'era il bruco mela, e la Ballerina, la mia preferita. E poi i banchetti con i pesci rossi, il pop corn e lo zucchero filato, l'autoscontro e i calcinculo, che era una giostra che potevano nominare solo i grandi, io nel tema non avrei mai potuto metterla, ma tanto non c'era pericolo, visto che la festa era a giugno, e ormai non c'erano più compiti da fare.