4 maggio 2012

Terra

Infilo le dita in questo terriccio umido, una sensazione così atavica da far sollevare i capelli nella nuca. "E' solo una piantina di fragole", mi dico. Ma non è così e lo so. E' un inizio. Radici che si moltiplicano nascoste alla vista, foglie che inverdiscono al vento, fiori che sbocciano, vita che cresce.
La vita è sbalorditiva, si prende tutto te stesso, sorridendo, senza tema di venir rifiutata. Un'amante temeraria e indomita.
Un attimo come questo è una lieve scossa, muove le cose quel tanto che basta da far sembrare tutto diverso.
Finisco di zappettare, annaffio, e sono un'altra.

Le città invivibili

"A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose l'uno dell'altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s'incrociano per un secondo e poi sfuggono, cercando altri sguardi, non si fermano." (Le città invisibili - Italo Calvino)

Cloe è ovunque, a Torino, a Milano, a Roma, ma soprattutto è dentro di noi.
Noi siamo città invivibili.
Pieni di contrasti, incertezze, paure, castelli di vuoto e nulla.
Sembra essersi spento l'interesse per il mondo fuori di noi. Lo sguardo indagatore negli occhi di un altro può significare la conferma della vanità della ricerca, quindi è meglio sorvolare, sfiorare senza toccare, passare accanto senza bussare, senza aver mai il coraggio di scoprire se aprirà qualcuno.
La mia città è dominata dal silenzio delle anime e dal rumore delle macchine, tutto mi disturba e nulla mi parla. Gridano ambulanze, sbottano i clacson, strillano gli antifurto, sembrano incubi di pecore elettriche.
E mentre ogni illusione di umanità sembra perduta, arriva la voce di uno dei miei vicini, vicinissimi, di casa. Parla lingue incomprensibili, tra il pigolio e il miagolio. Alle volte è solo un sussurro che attraversa le pareti di carta del condominio, altre volte sono strilla di insoddisfazione. Mi sveglia.
Eppure anche nel cuore invisibile della notte di una città, nulla dà più speranza del suono di un cucciolo d'uomo.

17 maggio 2011

Bikers Life/2


Ci sono ruote costruite per macinare piste, asfalto, altre per la sabbia, gli sterrati, ma tutte per consumarsi con i kilometri, con la voglia di andare, anche controvento.
La strada ti porta, non sei sicuro che arriverai dove ti eri ripromesso in partenza, magari ti fermerai prima, a consumare birra in un bar, magari passerai oltre perchè la strada ha ancora voglia di te.
La moto è fatta così, un solo oggetto per alcuni, ma così carico di energia per altri, da divenire un talismano. L'antidoto per una settimana tra le vie senza sole della città, in mezzo allo smog e agli automobilisti frustrati già al lunedì. Il piacere un po' masochistico forse nella scomodità di una sella dura e nelle pedaline troppo alte. La gioia di stare al mondo vivendolo dall'interno, assaporandolo, odorandolo.
Le montagne che si stagliano lontano mi ricordano quanto siamo piccoli, ma i cartelli dappertutto che gridano "NO TAV!", mi fanno pensare che siamo anche capaci di cose grandi, nel male come nel bene, di generare enormi dicotomie.

Visto che non guido, mi posso permettere di scrivere milioni di parole nella mia mente, dedita per una volta solo a se stessa.
Questo silenzio imposto è meraviglioso.
In due.
Uniti in un abbraccio ma splendidamente soli nei pensieri.
Si parla poco in moto, e non solo perchè lei fa la voce grossa! Si sta con se stessi e il fuori, in simbiosi alle volte così perfetta da dare un groppo in gola, come quando da sola su una spiaggia osservi l'immensità del mare.

26 aprile 2011

Rifiutare

Non quello dello Zanichelli, inteso come "non accettare".
Il rifiutare dei nostri giorni non è nemmeno quello di "annusare una seconda volta".
No, il rifiutare che vedo ogni giorno è un neo semantismo per "andar per rifiuti".
Un nuovo stile di vita per molti, giovani e vecchi, donne e uomini, di ogni ceto, etnia o età.
Sempre di più aumenta il numero delle persone che incontro per la strada a tutte le ore, in cerca di un tesoro abbandonato nel cassonetto.
La mattina trovo i giovani, extracomunitari perlopiù (ma che cazzo vuol dire poi extracomunitari, se parliamo dell'unione Europea dovremmo definire così anche gli inglesi!).
Le sera, quando rientro invece incontro gli anziani, dignitosi puliti e benvestiti, strangolati da una pensione che definire minima è un eufemismo, quindi chiamiamola pure infima.
Uomini e donne che hanno magari lavorato per una vita e ora sono ombre, nascoste come chi si vergogna, costretti a cercare di campare con quello che gli altri hanno buttato via.

Un decennio fa, per le strade di Belgrado, subito dopo gli ultimi bombardamenti, pensavo guardando gli anziani questuanti per le strade, che la civiltà di un governo si vede da come riesce ad occuparsi degli anziani, di quelli soli, di quelli malati. La Serbia allora aveva perlomeno l'attenuante della guerra, ma noi?
Possiamo definirci un paese civile? Stiamo perdendo tutto, tutto quello che quelle stesse persone che ora sono costrette ad umiliarsi, avevano costruito per noi.
E noi stiamo qui, ad osservarli, rattristati, da un balcone.

15 settembre 2010

Tutti amici con l'insalata...

Si, lo so che la versione originale di Bart Simpson era "niente amici con l'insalata", canticchiato e ballato per infierire sulla povera Lisa, ma a quanto pare i tempi stanno cambiando.
Da giorni leggo interventi legati al Vegetarianesimo, alla sua influenza etica e salutistica, alle implicazioni eco-politiche ecc. Alcuni "novizi" si infervorano molto, li capisco, ero anche io così molti anni fa, alle volte suonano un po' aggressivi, di solito non raggiungono lo scopo ma servono a scuotere un po' gli animi, a farli discutere, addirittura ad informarsi, e questo non può essere che un bene.
Tutte le cose che ho letto sono corrette, frutto di elaborazioni create da persone "informate dei fatti", ed è meraviglioso, ma la cosa più bella in assoluto è la variazione di percentuale.
Mi spiego meglio: 15 anni fa avevo una sola amica vegetariana, essere attiviste in questo senso era pura futilità e dispendio energetico. L'unico nostro obiettivo era tenere duro e dare un esempio di salute, fisica e mentale. Io ho smesso di mangiare carne lo stesso mese in cui mi sono iscritta all'ISEF, ci si allenava anche sei ore al giorno e non ho mai patito nessuna carenza.
Mi sono però da subito buttata a capofitto nei libri che parlavano di pro e contro (allora erano di più i contro, ovviamente) e ho capito che la maggior parte della gente in realtà ha semplicemente dei problemi di malnutrizione, e crede di essere sana fino a quando i disturbi di cui soffre non diventano cronici. L'ingestione di cibi-spazzatura ci avvelena, e questo può succedere anche ad un vegetariano (il cioccolato per esempio non era vivo :-))).
A mio avviso l'essere umano deve fare prima di tutto una scelta salutista per se stesso e per l'ambiente in cui vive. Tutti fanno la stessa battuta: "se non posso bere caffè, alcolici, mangiare zuccheri, carne, latticini, allora cosa vivo a fare?". Io lo trovo spaventoso e me li immagino tutti come grossi imbuti parlanti, come se tutti gli affetti, le scelte, le conquiste, la famiglia, i figli, non fossero importanti perchè non possono essere fagocitati!
Inoltre purtroppo c'è da dire che un pessimo tenore di vita non ha sempre l'effetto di stroncarti e "ciau bale", poichè il nostro corpo è incredibilmente dinamico, di solito si tende ad agonizzare e vivere male tutti i giorni, prima di schiantarci al suolo.
Oggi sono incredibilmente felice di andare a cena con i miei più cari amici e scoprire che alle volte siamo addirittura in maggioranza e che con gli altri si discute in maniera molto seria delle proprie abitudini alimentari e anche chi non è vegetariano (o non ancora) comincia a manifestare in ogni caso un desiderio di ricerca verso la salute, di consapevolezza, di comprensione nei confronti di ciò che è davvero importante nella vita. Se cambi cibo cambiano anche i pensieri, poichè davvero noi siamo ciò che mangiamo, e non vale solo per la carne, ma anche per molti alimenti che potremmo considerare eticamente edibili perchè non generano violenza sugli animali, ma la generano su di noi.
Sono altrettanto felice di essere riuscita ad organizzare un pranzo di matrimonio vegetariano senza urtare troppo la sensibilità degli altri.
Un consiglio per tutti, se abbiamo dei propositi positivi perseguiamoli, con costanza, diamo l'esempio, con serenità e pace. Non tutti raggiungono gli stessi traguardi, e men che mai negli stessi tempi. Attaccare gli altri equivale a spendere inutilmente la propria energia, chi non vuole ascoltare non lo farà comunque, chi vorrebbe rischia di impaurirsi e non si sofferma.
Un augurio a tutti di migliorarsi sempre nella vita, di non arrendersi mai e di cercare la vera salute.

13 settembre 2010

La padella


Sono diventata un maestro nel girare i pancake con un solo colpo del polso, e così tak! dorati di qua e di là, senza versarne una goccia. Certo c'è voluta un po' di pratica da quel giorno in cui avevo ammirato la mia amica cuoca provetta, ho grattato dell'uovo dalla cappa una volta, e naturalmente da tutti i fornelli, spesso. Ma poi alla fine ce l'ho fatta, e ora non temo più nulla e posso compiere questo preciso gesto quasi senza pensarci, e così, maledizione, mi ritrovo ad elucubrare, come mio solito, dando incredibili importanze ad oggetti di poco conto.
Inutile dire che i soggetti ben si prestano: padella, rigirare la frittata... e così mi ritrovo a chiedermi se sono diventata brava anche in quello. Se i pensieri che mi rullano in testa come i tamburi giapponesi facendo un rumore tremendo, non siano frutto del mio voler girare la frittata da tutti i lati, per controllarla, verificarla, comprenderla. Accedere ai suoi lati nascosti e pericolosamente crudi. Magari bruciacchiarla anche un po' nel bordo.

Tutto questo senza voler accettare che alle volte una frittata è proprio solo una frittata!

10 giugno 2010

Atemporaneamente

I ballerini muovono i loro corpi quasi fossero permeati dalla follia che giace di certo negli angoli dimenticati della Laveria, i loro sguardi vacui, gli spasmi che paiono essere involontari li fanno apparire come posseduti da spiriti dolcemente languidi e severamente casti insieme.
Eros e Thanatos danzano con loro.
Gli opposti si alternano incessantemente, forza e morbidezza, passione e fragilità, sensualità e violenza, Amore e Morte.
Ballano ai miei piedi ma sono irraggiungibili, la distanza tra loro e il pubblico è quella dello spazio senza tempo. Siamo lì per loro ma loro non sono con noi. E' una condizione difficile da accettare per lo spettatore, che da sempre cerca una ricompensa per la sua partecipazione e che qui non solo non viene soddisfatto, ma che deve accettare la sua condizione di voyeur. "Guardare ma non toccare", non entrare, stare fuori. C'è un muro invisibile a dividere i danzatori dai loro osservatori, composto dalla trance che i primi vivono. Una sensazione così forte da non abbandonarli nemmeno quando lo spettacolo è finito, quando, se ci fosse, scenderebbe il sipario.

Alla Laveria di Collegno, una volta, si lavavano i panni sporchi, di tutti quegli uomini e quelle donne, che, come Orlando, avevano perso il senno, senza che nessuno si premurasse per loro di andare a cercarlo sulla Luna.
Oggi in quella stessa costruzione, imbiancata e messa a nuovo, si fa arte.
Un'arte talvolta difficile da comprendere, da percepire, da possedere, la danza contemporanea.
Da anni i miei occhi cercano di abituarsi all'idea di contrazioni, tensioni, torsioni e carezze, di corpi che si muovono ad un tempo tutto loro.
Ogni anno sono uscita dal teatro con un misto di invidia e insoddisfazione, con interrogativi cui non trovavo una risposta.
Immedesimarsi nell'astratto, un concetto complicato anche solo da scrivere, figuriamoci da vivere, interpretare.
Uomini e donne si muovono con il solo scopo di percepire il proprio corpo, di narrarne il vissuto, di mostrarne le infinite possibilità, questo forse era il vostro messaggio per noi, scappato, nonostante la distanza che ci separava.
Questo almeno è quello che ho carpito io, quello che ho rubato, in sordina, sfuggendo gli sguardi ammonitori e severi dei ballerini.

Le luci si spengono. La Laveria ritrova il suo buio. I matti di Collegno sorridono fieri di essere stati ricordati e attendono nuovi corpi da possedere, solo per poco, di librarsi e liberarsi nello spazio di una danza.


23 aprile 2010

Black & White



Ancora una volta gli opposti.
Ancora una volta accostati.

Noi hakame, il bianco nel cuore, il nero nelle anche.

Sono passati quasi due anni dal mio primo Dan, e solo adesso sento i pensieri comporsi in file più o meno ordinate. Molte cose sono cambiate nella mia pratica, da allora, quasi tutte. Modificazioni impercettibili, come quelle della vecchiaia. Di una ruga non ti accorgi mica, fino a quando non la vedi già perfettamente delineata sul tuo viso. Allo stesso modo oggi mi sento diversa, ma non so dire nulla dei piccoli sommovimenti che mi hanno portato a questa sensazione.
Nella mia pratica il bianco ed il nero si scambiano di continuo, si fondono, si spostano, alle volte prevale il primo, altre il secondo, talvolta si scontrano lasciandomi sorpresa.
C'è un piccolo "spirto guerrier", forse troppo spesso domato, che ogni tanto prende il sopravvento, e che mi fa desiderare di portare la tecnica fino allla fine, che io sia uke o tori non importa, di spingerla per tararne il limite, che mi fa dimenticare i dolori e la paura. Che talvolta mi rende egoista e desiderosa di imparare ad ogni costo, dimenticandomi degli altri.
Ma poi c'è il bianco, che mi fa pensare all'importanza di indossare una cintura nera, al debito nei confronti dei Senpai che ti hanno accompagnato nel cammino, al credito nei confronti dei Kohai, che si aspettano che qualcuno per loro faccia lo stesso.
Passano gli anni, ogni passo è una conquista, ogni nuovo colore da indossare significa solo che non siamo fermi, che non abbiamo smesso di lottare. Dopo la "nera" però non ci sono più colori da conquistare e allora ti viene la paura di non sentirti più così esigente, stimolato, e invece, proprio nel momento in cui inizi a rilassarti e a calcare il tatami per il puro piacere di praticare aikido, ecco accendersi una piccola lucina, e tutto intorno assume altri colori, contorni, sfumature...

... e niente intorno a te è solo più bianco e nero...

14 febbraio 2010

13 Febbraio

Ieri ho spento sessantotto candeline immaginarie e bevuto cento lacrime reali.

Ho masticato sabbia e sale, su quella scogliera, pochi giorni fa. Il vento mi sbatteva di continuo in faccia la mia solitudine.
Non ho portato fiori, la salsedine li brucia in poche ore. Le mie piantine però sono ancora lì, figlie della terra, si tengono abbarbicate e sfidano il Maestrale.
Tra un paio di mesi porterò in dono un bouquet di tulipani e spighe, lo lascerò là in segno di sfida al vento, al mare.
Le porte del pesante cancello in ferro sono sempre aperte, per chi può uscire.
Posso trovare volti familiari di più di un secolo fa, e sapere che un po' di ciascuna di queste persone vive dentro di me, mi fa sentire piccola, appena un frammento, nel tutto vivente.

Un giorno anche io sarò di nuovo atomi e ioni, ma forse il giorno dopo sarò di nuovo cellula, chissà...