10 giugno 2010

Atemporaneamente

I ballerini muovono i loro corpi quasi fossero permeati dalla follia che giace di certo negli angoli dimenticati della Laveria, i loro sguardi vacui, gli spasmi che paiono essere involontari li fanno apparire come posseduti da spiriti dolcemente languidi e severamente casti insieme.
Eros e Thanatos danzano con loro.
Gli opposti si alternano incessantemente, forza e morbidezza, passione e fragilità, sensualità e violenza, Amore e Morte.
Ballano ai miei piedi ma sono irraggiungibili, la distanza tra loro e il pubblico è quella dello spazio senza tempo. Siamo lì per loro ma loro non sono con noi. E' una condizione difficile da accettare per lo spettatore, che da sempre cerca una ricompensa per la sua partecipazione e che qui non solo non viene soddisfatto, ma che deve accettare la sua condizione di voyeur. "Guardare ma non toccare", non entrare, stare fuori. C'è un muro invisibile a dividere i danzatori dai loro osservatori, composto dalla trance che i primi vivono. Una sensazione così forte da non abbandonarli nemmeno quando lo spettacolo è finito, quando, se ci fosse, scenderebbe il sipario.

Alla Laveria di Collegno, una volta, si lavavano i panni sporchi, di tutti quegli uomini e quelle donne, che, come Orlando, avevano perso il senno, senza che nessuno si premurasse per loro di andare a cercarlo sulla Luna.
Oggi in quella stessa costruzione, imbiancata e messa a nuovo, si fa arte.
Un'arte talvolta difficile da comprendere, da percepire, da possedere, la danza contemporanea.
Da anni i miei occhi cercano di abituarsi all'idea di contrazioni, tensioni, torsioni e carezze, di corpi che si muovono ad un tempo tutto loro.
Ogni anno sono uscita dal teatro con un misto di invidia e insoddisfazione, con interrogativi cui non trovavo una risposta.
Immedesimarsi nell'astratto, un concetto complicato anche solo da scrivere, figuriamoci da vivere, interpretare.
Uomini e donne si muovono con il solo scopo di percepire il proprio corpo, di narrarne il vissuto, di mostrarne le infinite possibilità, questo forse era il vostro messaggio per noi, scappato, nonostante la distanza che ci separava.
Questo almeno è quello che ho carpito io, quello che ho rubato, in sordina, sfuggendo gli sguardi ammonitori e severi dei ballerini.

Le luci si spengono. La Laveria ritrova il suo buio. I matti di Collegno sorridono fieri di essere stati ricordati e attendono nuovi corpi da possedere, solo per poco, di librarsi e liberarsi nello spazio di una danza.


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