23 luglio 2009

Chiacchiere da chicchere



Tutte impilate, strette, vicine. Sbatacchiano un po' nell'acqua, cozzano contro i cucchiaini, agitate, commentano la gornata. C'è chi si vanta di essere stata accarezzata e sfiorata lungamente, prima di essere adagiata sul piattino. Chi si lamenta di una sorsata frettolosa e di un abbandono subitaneo. Due sogghignano, ma in realtà sono come la vecchina di Bocca di Rosa, hanno tenuto in sè a malapena un caffè ristretto, assaggiato e poi abbandonato a fare il fondo con lo zucchero, quello che poi per farlo venir via bisogna grattare con la spugnetta.
Sanno tutto di noi, delle nostre manie, delle paure, delle nostre ansie raccontate davanti ad un caffè macchiato caldo, freddo, d'orzo in tazza grande con latte a parte, lungo senza zucchero, corto con acqua calda, americano, decaffeinato o comediavoloriusciamoadinventarlo ma mai: "un caffè!" Anche quando vogliamo il "modello base", dobbiamo specificarlo, altrimenti il barista non ci crede, e quindi chiediamo "un caffè normale", vantandoci con lui di non volerne uno... anormale!
La mia tazza si guarda intorno e se la tira un po'. E' più grande. Occupa il suo spazio sul tavolo lei, accompagnata dalla teiera. Dentro si adagia una tisana alla frutta. Non teme nulla. Sa che potrà riposare, che sarà sollevata e posata più volte, con gesti calmi, misurati, goduti. Sa che quando andrà nella lavastoviglie con le altre, avrà un sacco di cose da raccontare. Dirà di progetti futuri, sogni e qualche illusione. Celerà per se qualche segreto. Condividerà un racconto di viaggio. Si lascerà andare con serenità ai getti d'acqua, in attesa della prossima pausa.

16 luglio 2009

Incroci

Capita. Un attimo. Occhi che si incontrano. La voglia di sorridere, alla vita, al mondo. Capita con gli estranei, capita soprattutto con altre donne. Forse mi sbaglio, ma mi sembra che le donne ci credano un po' di più, ad una vita migliore, ad un mondo che si può cambiare, alla voglia di essere felici. Mi viene da canticchiare "le donne lo sanno...", hanno voglia di tenere gli occhi aperti, di guardare, e anche di farsi guardare, talvolta. Escono come fiori a primavera, sbocciano con i colori dell'arcobaleno, e profumano di thè e cedro.
Le incontri così, a piedi, in bicicletta, vestite di rosa acceso, le zeppe con il fiocchetto, oppure con i pantaloni larghi un po' sformati che ne hanno viste tante, o la gonna al ginocchio, le scarpe a punta e la ventiquattrore. Tutto le divide, le rende diverse, tranne quell'incrocio di sguardi quella luce, quella complicità. Forse è questa la nostra riscossa, ci manca il cameratismo, ma nasciamo con la dote della complicità.

11 luglio 2009

Foglie - parole per un addio

Quando un uomo cambia casa, lavoro, città, lascia liberi degli spazi, che potranno essere occupati da altri e fa suoi quelli che un altro, spostandosi, ha lasciato dietro di sé.
Quando un uomo muore, invece, lascia dei vuoti che paiono infiniti ed incolmabili, poichè sono senza accesso, refrattari, impermeabili a qualunque penetrazione.
Quando un uomo muore prematuramente, intorno ai suoi cari si crea una bolla di incredulità così densa da non far passare nemmeno i suoni, le voci.
Un uomo che lascia questa terra prima del tempo ma che ha avuto la fortuna di poter generare un figlio prima del nuovo viaggio, però rimane tra i suoi cari non solo con lo spirito, ma anche nella sua forma terrena. Egli è riuscito a mantenere almeno in parte l'antico adagio giapponese e ha fatto in modo che la sua anima si diffondesse in un nuovo corpo, conquistando così un pezzo di immortalità.
In ogni gesto, espressione del viso, atteggiamento del figlio, gli altri lo rincontrerranno, lo rivedranno, lo riconosceranno. E se questo oggi provoca solo dolore e rimpianto, domani sarà fonte di infinita gioia, orgoglio, tenerezza.
Quando sarà grande, un giorno, guardandosi allo specchio scoprirà di aver già visto quella faccia, e, sollevando un angolo della bocca sorriderà di sè, ritrovandosi anche in una vecchia foto...

Ieri un compagno di aikido ci ha lasciati.
Nessuno indosserà la sua hakama, nessuno stringerà il suo obi, nessuno impugnerà il suo ken.
Ma il suo spirito aleggerà tra noi che lo ricorderemo sempre e vivrà nei suoi cari.
Quella che si crea sul tatami è una famiglia scelta da adulti, voluta ogni volta che lo si calca, sono braccia che si tendono per proteggere, per accogliere, per unire.
Quelle stesse braccia si stringono oggi intorno alla famiglia del nostro compagno, e sono tese, pronte a ricevere qualunque richiesta che possa essere d'aiuto o solo di sollievo.

Domo arygatò, Maurizio, per ogni attimo, ogni tecnica, ogni sorriso, condiviso con noi.