29 marzo 2009

Bonsai

In questa che è l'era del suono, e talvolta del frastuono, delle parole che non dicono, della comunicazione che poi non comunica niente, l'Aikido risponde con il silenzio.
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...ikkyo, nikkyo, sankyo... parole che suonano incomprensibili e invece sono elementari: primo, secondo, terzo principio...
L'Aikido comunica con ciò che di più ancestrale c'è in noi: lo spirito. E lo fa con l'unico strumento che possediamo dalla nascita: il corpo.

La parola, il corpo, il contatto, hanno una valenza che non potrebbe essere concepita, accettata al di fuori del dojo. E' un luogo in cui si rispettano leggi ormai dimenticate. La fedeltà, il rispetto delle gerarchie, della forma, la totale fiducia nel proprio maestro, sono concetti ormai estranei alla nostra società, ed è forse proprio questo che spinge i praticanti a salire più volte la settimana sul tatami: il desiderio di governare la propria vita secondo le leggi della natura, che prevedono che "il giovane impari dall'anziano" (anche quando si tratta di un'anzianità di esperienza e non anagrafica), che cresca rispettando gli altri, e che migliori superando sé stesso e non "brillando di luce riflessa", perché è una cosa che solo la luna riesce a fare con grazia.

Il mondo esterno ci trasmette l'esigenza di emergere, apparire, anche a costo di soverchiare quelli che consideriamo avversari. Qualunque cosa pur di non rimanere nell'anonimato, di essere riconosciuti per strada. Forse anche questa esigenza nasce da un errore di comunicazione; spesso la gente si illude di essere meno sola, se riceve attenzione dagli altri. In realtà la solitudine è una condizione puramente spirituale e così come si può manifestare in un posto affollatissimo, quasi certamente non sfiora l'eremita, il quale anzi l'anela perché gli permette di contemplare l'universo.

Ma quanto è difficile comunicare qualcosa? Quante volte, credendo di "parlare con il cuore" a qualcuno, ci rendiamo conto di non essere affatto compresi, di sembrare addirittura ridicoli? E perché altre volte incontriamo una persona per la prima volta e dopo pochi minuti sembra di conoscerla da sempre? Viene da chiedersi se non ci sia qualche cosa che trascende la comunicazione verbale, se c'è un linguaggio che si parla ad un livello diverso, e che è compreso dall'altro solo se anch'egli lo conosce a sua volta, se può sentirlo. Per fare un paragone si potrebbe pensare agli ultrasuoni emessi da alcuni animali, che permettono loro di comunicare senza essere compresi dalle altre specie.

Suzuki sosteneva che: "La contraddizione che tanto sconcerta il modo di pensare ordinario deriva dal fatto che dobbiamo usare il linguaggio per comunicare la nostra esperienza interiore, la quale per sua stessa natura trascende il linguaggio."
... Cos'altro si potrebbe aggiungere? Avendo fede nell'assunto, niente. Perché qualunque approfondimento toccherebbe la sfera spirituale di ciascuno di noi, e a quel punto purtroppo le parole non basterebbero più. Immagino che sia per questo che l'amore vero, in tutte le sue forme, si nutra di profondi silenzi. Ad una madre che allatta il proprio figlio appena nato, che parole servono? Cosa c'è di più bello del comprendersi senza dire niente, invece di parlare per ore senza ascoltarsi mai?
Le lezioni di Aikido più belle che ricordo sono quelle fatte in assoluto silenzio... solo il frusciare delle hakame, il ritmo dei respiri, lo strofinio leggero dei piedi sul tatami. In quei momenti anche sbagliare perde significato, conta quasi di più cercare l'awase, l'armonia con il compagno che non concludere perfettamente una tecnica. E quante cose si riescono a trasmettere quando si sta zitti! Sembra un controsenso, e invece è proprio così.

Il silenzio è introspezione, è ricerca, è preghiera. Ed è forse proprio per questo che la società in cui viviamo produce tanto rumore: è un tentativo (peraltro abbastanza efficace direi!) di distoglierci da ciò che è davvero importante, di impedirci di pensare, di limitare la nostra crescita spirituale, di logorare le nostre resistenze nei confronti di un progresso che non è a misura d'uomo (è davvero difficile prendere un treno quando è in corsa, se potesse farlo ciascuno di noi credo che preferirebbe prenderlo alla stazione, magari dopo aver salutato gli amici e bevuto un caffè!). La filosofia, le religioni, sono spesso troppo silenziose per ergersi per farsi sentire, in mezzo a tanto frastuono. Uno deve proprio tendere l'orecchio per percepire qualcosa, per distinguerlo dalle milioni di voci che gridano. E se per caso decide di perseguire una strada un po' diversa deve diventare presto consapevole delle difficoltà cui andrà incontro. A dirla così sembra tutto nero, ma in verità c'è un aiuto molto importante se si vuole coglierlo, ed è la consolazione che non siamo soli a cercare di percorrere una strada diversa, e ciò che è singolare è che ci si riconosce subito, su questa strada... sono gli "ultrasuoni" che ce lo permettono!
E così, ogni volta che una comunità si forma nel tentativo di crescere e comunicarsi mutuamente qualcosa, sia che essa pratichi su un tatami, che canti in un coro e o che vada in giro per il mondo vestito di arancione, scalzo e con la testa rasata, o con un saio, un paio di sandali e un buffo taglio di capelli, la vera comunicazione è preservata.

1 commento:

  1. Vero: la comunicazione è difficile, sopratutto nel nostro mondo, in cui il brusìo è talmente intenso da soffocare tutto. Bisogna aver l'orecchio fino per riuscire a percepire il bisbiglio dello spirito. è vero anche che l'amore puro, in ogni sua sfaccettatura, non necessiti di parole: un abbraccio intenso sotto le stelle; un sorriso donato o ricevuto; anche soltanto rimanere seduti fianco a fianco, ascoltando le proprie anime vibrare come le corde di uno strumento sublime, il più bello.
    Ormai ho passato il punto in cui mi vergognavo di esternare alcune sensazioni attraverso le parole, nel timore ch'esse suonassero melense o ridicole agli occhi e agli orecchi altrui, anche se sicuramente ci sarà chi le riterrà tali.
    Purtroppo la società dell’apparire poggia le sue basi sulla superficialità, sul modo in cui i pensieri vengono comunicati, più che sui pensieri stessi.
    La prevaricazione del prossimo è indice di forza, caratteristica fondamentale nell’apparire. E così finisce che ognuno alza la voce sempre più, fino a formare un coro di strepiti dei quali non si avverte più alcun significato. Solo rumore.
    Il silenzio, come hai sottolineato parlando delle lezioni di Aikido, non è privo di significati. Mai.
    Il punto è che le parole non sono il fine, ma uno strumento. Riuscire con esse a descrivere le proprie sensazioni non è facile, perché la loro interpretazione è soggettiva. In fondo, anche il linguaggio del corpo lo è. Forse il problema non è legato ai mezzi con cui si comunica, ma alle fonti e alle sorgenti da cui e verso cui questi mezzi viaggiano.

    L'unica questione su cui non sono convinto è il fatto che non siamo soli: mi sto persuadendo maggiormente che in questo si sia soli, che si stia divenendo sempre più mosche bianche. Lo penso sulla base di ciò che ho sperimentato sulla mia pelle, per cui potrei anche sbagliarmi, cosa di cui spero ancora vivamente.

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