19 marzo 2009

Donne con la gonna


Mi piace il caldo, il sole sulla pelle, anche quando brucia, mi piace il vento di maestrale che rinfresca. Ma questa sera è diverso. Esco che è buio già da un pezzo, la maggior parte delle luci delle case è già accesa, quella degli uffici è già spenta. Ci sono poche macchine in giro, vagano lente come se non sapessero bene dove portare il loro passeggero, oppure spedite e scattose, guidate da qualcuno che non vede l'ora di arrivare da qualche parte.

Io sono a piedi, e poichè ho mancato il mio appuntamento con il tatami non ho nessuna fretta di arrivare, anzi.

Dentro di me comincio a considerare l'ipotesi di andare, camminare, fino a casa. Certo, non sono esattamente due passi, ma potrei comunque immaginare che sia una forma di "allenamento mentale". Non so perchè penso queste cose, ma mentre l'altra mia vocina (che in realtà non è nemmeno mia ma appartiene a mia nonna-mamma-amica-ecc.) mi dice atterrita che "
a quest'ora di sera non è una bella cosa per una ragazza andare in giro da sola", continuo a mettere un passo dietro l'altro, e non mi assale nessun senso di angoscia, vulnerabilità, smarrimento.
Diciamoci la verità, nuda e cruda, a noi donne insegnano ad avere paura fin da quando nasciamo. Lo fanno tutti, chi a fin di bene, chi per il proprio tornaconto, ma lo fanno tutti. Tutti i personaggi che fanno paura da piccoli sono maschili: l'orco, l'uomo nero (tralasciando inoltre le questioni razziali!!), la quasi totalità dei
serial killer idem. La nostra società è ancora prettamente maschilista, vuole che la donna tema l'uomo ma al contempo vuole che ci costruisca una famiglia. C'è qualcosa di profondamente distorto in questo, secondo me.
Purtroppo è un fatto che le donne subiscono nel mondo molte più vessazioni rispetto agli uomini, ma quanta di questa violenza è generata da un'irresponsabilità vera (se mai possa considerarsi una colpa) della vittima e quanta dalla ormai millenaria convinzione che le donne debbano in qualche modo sentirsi sottomesse? Che sia comunque quello il loro ruolo?
Vogliamo ancora accettare che se un marito violenta la propria moglie "il fatto non costituisce reato"?

Il quesito successivo è chiedersi cosa può fare una donna, per non avere paura.
Non credo che siano le mie armi tenute su una spalla a farmi sentire sicura di me. Dubito che avrei la freddezza necessaria per usarle come si deve. Non nascondiamoci dietro ad un dito, l'aikido non lo pratichi per andare a pestarti per le strade, o per difenderti da un tentativo di stupro. Se cerchi quello fai altro. L'aikido ti serve piuttosto per "pestare", o meglio testare, te stesso. La forma mentis che ti dà è molto molto di più del pensare che potresti spezzare le ossa a qualcuno. É una trasformazione del pensiero, delle tue capacità valutative. Sviluppato bene, secondo me è l'arte di evitare certe situazioni, di intuire che possono essere pericolose, di capire com'è la persona che hai davanti, quando è il momento di agire e quando è decisamente meglio quello che i giapponesi chiamano wu-wei, il non agire.

Noi occidentali siamo da sempre portati a credere che chi non agisce è un vigliacco.
Quando ci fermiamo, o perlomeno rallentiamo un po', ci rendiamo conto di quello che ci circonda, vediamo la faccia di chi ci viene incontro, possiamo persino stare attenti ai dettagli, e quindi essere più preparati di fronte ad un pericolo. Questo secondo me è basilare, ancora di più quando si tratta di noi donne. È ormai appurato che la maggior parte delle violenze sulle donne vengono perpetuate da persone vicine alle vittime stesse. Ogni volta noi ci poniamo sempre la stessa domanda: "possibile che non se ne sia accorto nessuno?". Possibile. Perchè talvolta non si può, talvolta non si vuole, vedere, ma attenzione che sono due lati di una stessa medaglia. Che la cecità sia psichica o fisica a questo punto non fa differenza, il sunto è che non si vede. Non si vede perchè si ha fretta, non si vede perchè non si è attenti o perchè si è attenti ad altro.

Nel nostro dojo il maestro è attento, i praticanti sono attenti. Nel nostro dojo ci sono molte donne. Che praticano e che insegnano. Nel nostro dojo le donne sono considerate quanto gli uomini, e non perchè qualcuno ci racconta che "nell'aikido non ci sono distinzioni di sesso, che tu sia maschio o femmina è uguale".

Le distinzioni esistono.

Non siamo tutti uguali, pertanto sarebbe illogico pensare che quello che va bene per uno vada bene per tutti. Ci sono differenze fisiche, caratteriali, cognitive. Quello che ci unisce tutti è il rispetto reciproco, la consapevolezza che le nostre differenze non costituiscono un impaccio alla nostra crescita, anzi. Quanto più ci troviamo costretti a combattere contro i nostri demoni (il pregiudizio, la presunzione, la superbia, l'arroganza, l'egocentrismo e i loro mille fratelli), tanto più miglioriamo noi stessi e il nostro aikido. Tanto più acquistiamo fiducia nelle nostre capacità, tanto più ci sentiamo sicuri nel lavoro, in famiglia, per la strada. Si dice che Ueshiba potesse risolvere le sue situazioni conflittuali solo con uno sguardo. È una cosa che almeno in parte abbiamo
sperimentato tutti: quando noi per primi siamo convinti di qualcosa, gli altri hanno più difficoltà a contestarla. Se tentenniamo saremo facile preda degli arroganti.

Lo so, se fossi nata una ventina d'anni prima sarei andata a bruciare reggiseni nelle piazze, ora per fortuna questo non serve più, e anche se talvolta le donne hanno dovuto arrivare all'eccesso, penso che allora fosse l'unico metodo possibile. Ora però non ne abbiamo più bisogno. Ora possiamo fare qualunque cosa, e fra le tante possiamo calcare un tatami con uomini che indossano... la gonna!... cosa si può chiedere di più?

Calchiamolo allora, questo suolo in cui ogni caduta, ogni
kiai, ogni proiezione, ogni kata è una conquista, un mattoncino in più sulla via della propria forza, della propria consapevolezza, dell'amore per se stessi e per gli altri.

Maura

1 commento:

  1. Considero la donna diversa dall'uomo, ma non sottomessa, né tanto meno inferiore, come molti ottusi sostengono con grottesca sicurezza.
    La considero diversa perché in grado, in alcuni casi, di capire appieno certi aspetti della vita che alla maggior parte degli uomini sfugge totalmente. Mi trovo molto a mio agio a parlare con le mie amiche di argomenti con cui non posso sperare di dissertare con gli amici, venendo a volte schernito e considerato quasi un alieno, reo di mettere a nudo alcuni aspetti del mio essere che stupidamente potrebbero minare la loro forse fragile convinzione di virilità.

    Detto questo, è vero: in occidente si considera vigliacco chi non agisce; si taccia di mancanza di spina dorsale il non voler perpetuare le proprie idee, come se il tentativo di inculcare il proprio credo nella testa altrui sia un obbligo da perseguire con ogni mezzo, sovente con la forza e la coercizione.

    In occidente, le stesse arti marziali, molte volte, sono considerate un semplice sport, non una disciplina mentale, oltre che fisica.
    Non ho confidenza con l'aikido, ma ho praticato il judo e la muay thay. Quest'ultima mi ha insegnato la perseveranza, l'autodisciplina, l'ulteriore repulsione verso la violenza. Da noi c'erano ragazze, con cui ci si allenava alla stessa maniera che con gli uomini: sputavano sangue esattamente come me; urlavano dallo sforzo, quando la fatica iniziava a mordere polpacci e braccia, proprio come facevo io.
    La perseveranza, la costanza, la forza, non sono né maschi né femmine. Sono semplicemente di chi sa coglierle, assaporandone il dolce succo.

    In bocca al lupo.

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